NICOLA SAMORì | ROMA

Nicola Samorì
Roma (manuale della mollezza e la tecnica dell’eclisse)
Opening 01.10.2021
Fino al 26 novembre

 

Questa è la mia prima mostra che prende le ferie dal museo e presenta forme che non hanno radici nelle pinacoteche.
Così Nicola Samorì (Forlì 1977), ci introduce al percorso espositivo della sua nuova personale nella sede Monitor di Roma. 
Roma (manuale della mollezza e la tecnica dell’eclisse) rivela al pubblico la presenza nelle immagini di Samorì di un codice genetico indipendente dal filone a cui è stata ricondotta più frequentemente la sua produzione da un decennio a questa parte, ossia quello che affonda le sue radici nel repertorio dei maestri del passato. Un corpus di opere inedite che possono a primo acchito creare spaesamento, ma che in realtà vedono potenziati aspetti già in nuce in altri lavori più recenti.

 

Manuale della mollezza 
Cosa resta della mia opera quando viene strappata alla citazione, quando si deve reggere unicamente sui piedi dell’invenzione?
Senza lo scheletro del fantasma museale la forma diventa molle, e quel che viene scritto nella prima sala della galleria di Roma è proprio una sorta di manuale della mollezza. Un corpo di marmo si curva fino ad afflosciarsi su se stesso trasformandosi in un vessillo spiegato, e facendo emergere quella categoria che un artista da me ammirato − Leonardo Cremonini − considerava il male. Per il pittore bolognese tutto infatti si giocava nell’oscillazione fra il duro e il tenero, escludendo quello stato del molle, per sua natura instabile, che invece a me già da ragazzo, quando lo ascoltai in Accademia a Bologna, affascinava. 

Nella stanza dedicata al “manuale della mollezza” l’artista inscena una vera e propria storia del molle tramite una serie di opere che ne interpretano il senso. Oltre venti disegni preparano al marmo La lingua, che sfida la resistenza della pietra curvandosi fino al limite estremo imposto dalla materia e rimandando nella forma alla vasta arcata che caratterizza la sala espositiva.  Questo elogio del molle si riverbera nei due altorilievi gemelli affrontati che si pongono come il trait d’unionfra i due ambienti della mostra: come un’opposizione tra positivo e negativo, uno è realizzato in marmo bianco e uno in marmo nero del Belgio. Originati dal calco del piccolo dipinto Dolorosas, 2015 − e qui Samorì utilizza come fonte non il museo, ma il suo stesso repertorio, in una sorta di partenogenesi − fossilizzano nella pietra la mollezza delle pieghe che nella fonte pittorica sono ottenute tramite il drenaggio del pigmento a olio con il palmo della mano.

 

La tecnica dell’eclisse
Contraltare al breviario della mollezza è l’installazione La tecnica dell’eclisse, che campeggia su una delle pareti della seconda sala della galleria. Allestiti come in una quadreria antica si aggregano una quindicina di dipinti appartenenti alla sua produzione giovanile, che Samorì sceglie di “accecare” sottoponendoli a un processo alchemico di decolorazione e oscuramento. Ogni tela è ricoperta da una foglia di rame, poi ossidata ripetutamente con lo zolfo attraverso lavaggi successivi che consumano il metallo e portano alla luce il solo fantasma dell’immagine. Un campionario di gesti dove il corpo del pigmento ha la meglio sul fardello dell’iconografia: Quel che resta sono brandelli eclissati che scrivono una storia della mia formazione attraverso il rilievo. Nella sottile linea di demarcazione tra pittura e scultura si inserisce una fedele traduzione in marmo nero del Belgio di una tavolozza utilizzata dall’artista per realizzare una parte delle opere in mostra, in cui la mollezza del pigmento si cristallizza nella pietra.  Dalla tavolozza di pietra alla pittura su pietra il passo è breve, come si evince dalle due nature morte dipinte su Breccia di Vendôme dal titolo Macello. I fiori sono costruiti sfruttando le macchie cromatiche della superficie minerale, che a tratti ricordano i toni della carne, nuova allusione al conflitto mai risolto con il corpo. Samorì con tratto sapiente fa emergere i fiori fatti pietra dipingendo attorno a loro il fondale su cui si stagliano, in una sorprendente tecnica “a risparmio”.

La mostra è accompagnata da un testo critico a cura di Davide Ferri.

 


ENG

 

Nicola Samorì
Rome (manual for mushiness and the eclipse technique)
Opening 01.10.2021, 6 – 9pm
Until 26 November

 

This is my first exhibition which takes a break from museums and presents forms which have no roots in picture galleries.  

Thus Nicola Samorì (b. 1977, Forlì) introduces us to his new exhibition in Monitor’s Rome gallery. Rome (manual for mushiness and the eclipse technique) unveils images whose genetic code is independent from those frequently explored in Samorì’s practice throughout the past decade which saw a firm rooting of his works within the repertoire of past masters. For the first time, the public will see a body of new works which may disorient them at first glance, but which in reality amplify aspects already at the core in Samorì’s previous work.

 

Manual for mushiness 
What remains in my work when it is ripped from its reference, when it has to stand solely on the feet of its invention?  
Without the ghostly skeleton of the museum, the shape becomes mushy, and what is written in the first gallery room in Rome is exactly a kind of manual for mushiness. A body of marble bends until it goes limp, transforming into a folded banner giving way to that category which an artist I admire – Leonardo Cremonini – would have defined evil. The Bologna-born painter believed, in fact, that one should play with the oscillation between hardness and softness, disregarding that mushy state because of its unstable nature. When I was young, listening to him at the Academy in Bologna, I was instead fascinated by this state.  

In the room dedicated to the ‘manual for mushiness’, the artist stages a veritable history of mushiness through a series of work which interpret its meaning. Over twenty drawings prepare us for a marble work – a tongue which challenges the resistance of stone, bending to the very limits imposed by its material, its form echoing the vast arch which characterises the exhibition room.  This lauding of mushiness resonates in two twin high-reliefs which act as a hyphen between the two spaces of the gallery: like an opposition between positive and negative, one executed in white marble, the other in Belgian black marble.  The two works were made by casting a small 2015 painting – Dolorosas. Here, Samorì takes inspiration not from the museum but from his own repertoire, as a kind of parthenogenesi. The mushiness of the folds, which were created in the painting by draining an oil-based pigment with the palm of one’s hand, becomes fossilised in the high-reliefs.

 

The technique of the eclipse 
The installation The technique of the eclipse, in relief on one of the walls of the gallery’s second room, counteracts this compendium of mushiness. Fifteen paintings from Samorì’s early days are hung so as to resemble an antique picture gallery. The artist decides to ‘blind’ the paintings through a chemical process of discoloration and darkening. Each canvas is covered by a copper leaf which is then repeatedly oxidised with sulphur over numerous washes which consume the metal, revealing a ghost of the original image. A sample of gestures where the body of the pigment wins over the burden of iconography: All that remains are the eclipsed shreds which, through a relief, write the story of my formation.  

On the fine line demarcating painting from sculpture lies the faithful translation of a palette – used  by the artist to make some of the works in the show – into Belgian black marble. The palette’s mushiness is crystalised in the stone. The step between a palette made of stone to painting on stone is brief, as exemplified by the two still lifes painted on Breche de Vendome marble, titled Macello (Slaughterhouse). The flowers are created by making use of the chromatic blemishes on the surface of the mineral, which at times recall the hues of the colour of meat – a new allusion to a never resolved conflict with the body. Samorì skillfully brings into relief the ‘flowers’ which appear on the patterns of the stone by painting the background, tracing their spontaneous outline, in a surprising ‘savings’ technique’.

 

The show is accompanied by an essay written by critic and curator Davide Ferri.